Soglie costruite a partire dal Contrappasso

15/11/2023 Raso Alex

Kamil Kaplan al Palazzo della Zattere, Venezia, Italia
Dettagli della mostra
Sede:
Palazzo della Zattere, Dorsoduro 1401, Venezia
Date: 13 novembre – 11 dicembre 2023 (Attualmente in corso)

In Soglie costruite a partire dal Contrappasso, presentata nello storico Palazzo della Zattere a Venezia, Kamil Kaplan svela una nuova serie di architetture percettive: soglie luminose costruite a partire da forme ricorsive e dissonanze metafisiche. La mostra si colloca all’incrocio fra illusione ottica, topologia morale e coinvolgimento rituale, inscenando un confronto coreografico con lo sguardo stesso dello spettatore. Fedele al suo titolo dantesco, Contrappasso — termine che indica la giustizia poetica o la punizione speculare nella Divina Commedia — Kaplan costruisce qui passaggi psichici che riflettono non solo il corpo, ma le sue distorsioni percettive, i suoi peccati visivi e i suoi desideri spaziali.

Tre lightbox quadrati, montati a eguale distanza lungo un corridoio bianco immacolato, appaiono a prima vista come composizioni stabili e simmetriche. Ma nel momento in cui ci si muove, l’illusione si frantuma. Non si tratta di immagini statiche, ma di trappole dimensionali cinetiche — mandala meccanici che si trasformano con il movimento dello spettatore. Una geometria vista da sinistra può sembrare chiusa, monolitica, sepolcrale. Da destra, la stessa forma si disfa, rivelando rientranze invisibili, rotture cromatiche e profondità impossibili. I pannelli mutano attitudine come strutture senzienti — portali che si aprono o si chiudono in base alla traiettoria, all’angolo, alla disponibilità a indugiare.

Realizzate in acrilico industriale, laminati specchiati, filtri ottici e modulatori cromatici interni a LED, le opere di Kaplan non sono semplicemente basate sulla luce. Sono reattive alla luce — spazi che rispondono. L’immagine, dunque, non è fissa. È un evento, un’apparizione, condizionata dal movimento corporeo e dalla presenza. Queste sono soglie, ma che rifiutano di essere attraversate con un solo gesto. Richiedono circolarità, ritorno, oscillazione — una danza contrappuntistica della percezione in cui nessuna visione è definitiva. Ogni sguardo è punito dall’ambiguità; ogni risposta viene disgregata da un cambio d’angolazione.

Ed è proprio questa logica del mutamento a costituire il nucleo tematico della mostra. Il contrappasso, tratto dall’architettura morale dell’Inferno di Dante, qui diventa principio strutturale. Ogni lightbox opera come uno specchio percettivo: più si tenta di risolvere l’immagine, più essa si ribella. Ogni proposta spaziale di Kaplan è una doppia trappola — una contraddizione architettonica che rivela e nasconde nello stesso respiro. La punizione per lo spettatore non è la violenza, ma la ricorsione: l’impossibilità di risolvere lo spazio in un significato univoco, la compulsione a ritornare e ri-entrare in una geometria che continua a sfuggire.

Gli schemi cromatici riflettono questa complessità etica. Il primo pannello arde in blu polarizzati e fucsia, formando un’apertura biforcuta la cui apparente semplicità si frantuma in profondità ricorsive. Il secondo pannello, velato da smeraldi e gialli solari, funziona come un corridoio d’inversione — un tunnel il cui punto di fuga si rifiuta di restare fisso. Il terzo, il più volatile, esplode in viola intensi e arancioni roventi, formando una prigione esagonale rotante i cui angoli si rifrangono e si collassano in base al passaggio. Insieme, funzionano come trittici del giudizio: non narrazioni simboliche né semplici forme astratte, ma stazioni fenomenologiche in un rito secolare.

Inserita nella solenne architettura del Palazzo della Zattere, la mostra rifrange Venezia stessa — le sue illusioni cangianti, il suo peso storico, le sue acque specchiate e le sue volte sommerse. Le opere di Kaplan risuonano con la geometria paradossale della città: fluttuante eppure ancorata, visibile eppure insondabile, antica eppure sempre mutevole. Così come i canali veneziani si trasformano con la luce e il clima, anche i pannelli di Kaplan mutano con il corpo che li avvicina. Non esistono senza di te, e non ti obbediscono. Sono geometrie viventi di ritardo e implicazione.

Soglie costruite a partire dal Contrappasso segna un punto cruciale nella carriera di Kaplan. Se le opere precedenti costruivano santuari dello sguardo, queste negano il santuario. Sono prove. Incontrarle significa entrare in un circuito morale e metafisico in cui il semplice atto del guardare diventa una sorta di confessione — una rivelazione delle proprie abitudini percettive, del proprio bisogno di risoluzione, della propria paura dell’inattingibile.

Questa non è una mostra che offre risposte. Offre architettura: specchiante, ricorsiva e luminosa. Ogni pezzo attende nel silenzio — finché non ti muovi. E allora, come un cancello dimenticato verso un mondo riflesso, risponde non con chiarezza, ma con contrappasso.

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